Dopo una veloce visita al Ginkakuji (il padiglione d’argento). Ci dirigiamo all’appuntamento per il corso di cucina giapponese. Nonostante il piccolo ritardo (ho confuso l’università di Arte e Design di Kyoto con l’Università di Kyoto tout court) siamo molto ben accolti da Emi-san, che ci guida fino a casa sua.
Inoltre ci facciamo un po’ perdonare grazie ai piccoli doni che le portiamo: delle olive alla provenzale e del sale di Guerandes, conosciuto fino a qui (ma non da me…)
Il suo inglese è buono rispetto alla media giapponese e le spiegazioni sono semplici e chiare. Menu del giorno:
- insalata di spinaci con salsa al sesamo;
- filetti di sgombro marinati nella salsa miso;
- pancake di radice di loto con gamberetti;
- maki di pelle di latte di soia;
e per finire, mochi alla fragola con crema di fagioli rossi e gelato al tè verde.
Le tre ore del corso passano velocemente e Emi-san si rivela piena di preziose informazioni su come preparare il dashi, l’equivalente del brodo vegetale e i condimenti tipici. Il risultato è niente male, anche se il nostro contributo è stato minimo.
Alla fine delle 3 ore ci congediamo da Emi-san. In questo breve lasso di tempo abbiamo conosciuto un Giappone un po’ nascosto: la cucina piena di utensili “bizzarri” agli occhi di un occidentale, i rituali di preparazione, la tazza di tè verde prima di cominciare, la voglia di conoscere un mondo diverso dal proprio e il desiderio di condivisione della propria conoscenza.
Non siamo diventati chef giapponesi, ma questa esperienza ripaga in parte il mio desiderio di esplorare un Giappone meno turistico e più legato alla vita di tutti i giorni.
Certo, non è sufficiente, ma almeno è un inizio.
Cugino, fai tanta pratica quando torni a casa, sicchè quando ci si vede in Italia potremmo assaggiare un po di Giappone anche noi!!!!